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I vulcani dell’area napoletana hanno non solo plasmato un territorio fertile e di eccezionale bellezza ma hanno fortemente inciso nella cultura popolare.

Il Vesuvio, ad esempio. Il riproporsi di continue eruzioni (dal 1631 al 1944 questo vulcano è stato ininterrottamente in attività) ha permesso lo stratificarsi di un rapporto fatto di rispetto ma anche di confidenza. Basti pensare che in passato le sue popolazioni affrontavano molte fasi dell’eruzione restando sul posto e, proteggendosi alla bene e meglio, spalavano la cenere che il vulcano andava accumulando sulle loro abitazioni. Senza quest’impegno le città vesuviane, prima tra tutte Torre del Greco – con il motto “Post Fata Resurgo”  (Dopo il disastro risorgo)  nel suo stemma-  non sarebbero mai esistite.

Altrettanto significativo fu, nel 1970, il comportamento delle popolazioni di Pozzuoli che ribadendo come il bradisismo fosse una costante della vita della città, che le stesse eruzioni nei Campi Flegrei, come quella di Monte Nuovo del 1538, non avevano mai avuto quei caratteri di repentinità e di immediata distruttività e, soprattutto, contestando il diktat del governo di sgombrare un solo rione (Rione Terra, abitato da famiglie a basso reddito e, per la sua posizione panoramica, ambito da non poche immobiliari) arrivarono a scontrarsi con la polizia.

Oggi questo tessuto culturale si direbbe irrimediabilmente compromesso. Anche perché molti leggono il caotico “sviluppo” urbanistico quasi come “garanzia” del definitivo “spegnimento” dei vulcani e la parola “eruzione”, pertanto, diventa tabù: un sinonimo di sicura e improvvisa morte. Un evento dal quale salvarsi con la fuga. Nasce da qui il panico che potrebbe scatenarsi oggi nell’area vesuviana, flegrea e ischitana alla percezione di un evento sia pure banale per un’area vulcanica come un boato sotterraneo, un terremoto, una vistosa fumarola.

A peggiorare le cose provvedono i mass media – che, irresponsabilmente, equiparano ogni possibile eruzione alla catastrofe di Pompei – e, soprattutto la Protezione civile che prospettando per una crisi vulcanica soltanto una evacuazione da realizzare in poche ore, istituzionalizza la credenza di una eruzione come una improvvisa e inappellabile condanna a morte.

Paradossalmente, è proprio questa enfatizzazione del rischio vulcanico (che periodicamente determina nell’area il verificarsi di vere e proprie psicosi di massa) che porta alla sua rimozione nella vita di tutti i giorni. E così le stesse persone che sarebbero disposte a precipitarsi in una rovinosa fuga al manifestarsi di un qualsiasi evento vulcanico, continuano a vedere in una casa ubicata in un area “panoramica”, ma ad aree ad elevato rischio vulcanico, la loro principale aspirazione.

“Vivere tra i vulcani” tenta di rimediare a questa situazione:  tentando (anche segnalando i più significativi siti dedicati a questo argomento) di ricostruire quella memoria storica che ha permesso alle popolazioni vesuviane, flegree e napoletane di vivere consapevolmente con i loro vulcani e stimolando la redazione di efficaci piani di protezione civile imperniati su questa consapevolezza.

F.S.

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